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Probovirus - 24 settembre
2003
’O dragumano
Abbiamo in molti letto ed ascoltato
dell’attacco armato dei soldati americani all’automobile
su cui viaggiavano, tra Mosùl e Tikrìt, l’ambasciatore
italiano membro del governo di occupazione in Iràq e il suo
interprete locale.
Un fatale errore. Un’errata informazione. Uno scambio d’automobili.
Grandi dispiaceri e molte scuse. I militari americani sono sottoposti
a grandi sforzi di tensione. I loro comandanti sono dispiaciuti.
Gli italiani sono validi alleati e buoni amici della democrazia
che occorre stabilire nel paese in cui la miseria galleggia sul
petrolio.
Con fatica usciamo dal frastuono delle chiacchiere che vogliono
passare per notizie, e non facciamo a tempo a chiederci com’è
che si sia persa la poesia di Babilonia antica o dove sono andati
mai i profumi delle Mille ed una notte in mezzo alla sporcizia di
un’infame dittatura che veniamo presi dal sospetto d’una
verità nascosta tra immagini e parole in primo piano.
Dell’ambasciatore danno il nome, gli anni, un’intervista
rilasciata poco dopo “l’incidente”. Dell’interprete
si tace tutto. Eppure il diplomatico è ferito e il suo interprete
è defunto. Allora, perché questo silenzio? Indifferenza
per i morti in un paese che non riesce più a tenerne il conto?
Ancora il razzismo? Disprezzo, forse, per un musulmano?
Scartiamo queste ipotesi perché sappiamo che d’altri
morti non del tutto ignoti di quelle terre martoriate, sia pure
per quel poco che ci giunge, è circolato almeno il nome o
il volto. E un interprete al servizio di un diplomatico, da quelle
parti soprattutto, non può essere certo l’ultimo arrivato.
Sospettiamo allora che si tratti proprio della sua funzione d’interscambio
tra due lingue, due culture. Interprete del senso della propria
lingua allo straniero. Il fatto stesso di tradurre la diversità
culturale lo fa diverso in mezzo ai suoi connazionali. Una volta
di più il traduttore è un traditore. Ed è così
che l’interprete si trova estraneo agli interessi e alle persone
delle forze d’occupazione e, al tempo stesso, estraniato dal
suo popolo d’origine e perfino, forse, dai parenti. Di lui
si cancella, prima ancora della memoria nei sopravvissuti, la sua
stessa morte. Profanata dalla barbara parola del nemico.
Se l’interpres dei latini era l’intermediario del valore
da versare in cambio di un acquisto o d’una prestazione d’opera,
l’interprete è per noi non più colui che fissa
il prezzo, bensì quello che chiarisce il senso di qualcosa
altrimenti non compreso o il traduttore in simultanea di un discorso
pronunciato in lingua ignota agli ascoltatori.
Dall’accadico targumannum all’arabo targumân si
fissa in tutta la cultura mediorientale il significato di interprete,
passato in italiano con i termini ‘dragomanno’, attestato
già nel secolo XIII, e ‘turcimanno’ di memoria
manzoniana. Targûm è poi in ebraico l’ermeneutica
della parola sacra e il targumista è contemporaneamente interprete,
esegeta, testimone e portatore delle tradizioni e dei misteri religiosi.
In napoletano abbiamo per l’antico il ‘dragumano’,
addetto a interpretare le diversità linguistiche al servizio
di cancellerie reali, di monasteri e delle transazioni dei mercanti.
Attività sbiadita poi nei ruoli sempre più precari
della guida occasionale per turisti, del procacciatore di clienti
per alberghi, ristoranti e, più recentemente, di giovani
da inviare in qualche nuova discoteca.
Così si spiega che dell’interprete iracheno assassinato
non può valer la pena di parlarne, perché nessuna
lingua è più la sua. Di lui non può nemmeno
valer la pena di scusarsi per il “fatale errore”, perché
la sua vita non valeva che per la capacità di mediazione
linguistica, non certo in quanto era una vita. Men che meno può
valere ricordarne il nome. Che volete che sia un nome, se tutto
il suo valore si racchiude nella diffidabile funzione ’e dragumano?
Sospettiamo che si occulti qui qualcosa che non ci è affatto
estraneo, che ci appartiene e resta ancora tutto da interrogare.
Sprofondato in una sua morte anonima, invisibile, immemoriale, si
dovrebbe interpretare il senso del lavoro di ricerca del rapporto
tra le diversità linguistiche e il valore permanente della
diversità d’ogni singola lingua. Ma succede agli interpreti
di andare incontro ad una morte nel linguaggio di nessuno. Perché
quando le lingue perdono ogni senso, allora la parola la prendono
le armi.
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