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Probovirus - 30 giugno 2003

Probovirus: il virus del probo

Si sa che il proboviro dev’essere persona di particolar prestigio, designata a compiti di controllo o di conciliazione, ma in un sito messo in rete queste funzioni spettano a chi naviga, leggendo e criticando. A chi vi scrive, invece, tutt’al più compete distillare umori corrosivi e contagiosi, cosa in cui pare eccellere ogni virus, avendo e conservando una coscienza onesta. Inoltre ci è sembrato che in un nuovo sito di linguistica sia quasi d’obbligo coniare qualche nuovo termine, innestandolo alle tante voci che già circolano nella rete. Ecco allora l’esigenza del probovirus, perché filtri attraverso le membrane impermeabili ai messaggi senza senso, e viva e si sviluppi nelle cellule viventi dei cervelli dialoganti. Alle viralità infestanti i vostri sogni telematici vogliamo opporre una salubre ecologia mentale.

Sì. Ci occupiamo di lessico. Campano ed italiano. Senza farci sfuggire il gusto di pigliare in giro quelli che vorrebbero si fosse tutti anglofoni e magari così come lo parlano nel Texas. Il secondo millennio se n’è andato lasciandoci convinti che noi tutti, uomini e donne del pianeta, dimoriamo nel linguaggio. Ce l’hanno detto in vario modo, solo per ricordare alcuni nomi, Vico e Herder, de Saussure e Heidegger, Cassirer e Wittgenstein, Merleau-Ponty e Lacan, dimenticando tuttavia di segnalare che da questa casa non ci è possibile andar via. Non vi è uscita, infatti, dalla lingua con cui interpretiamo le persone, i sentimenti, il mondo e i suoi problemi. E vi si entra, invece, da ogni parte, in quanto ogni parola rinvia ad un’altra, come in una galleria di specchi, le cui immagini rimbalzano tra sinonimi e contrari, slittamenti e neologismi, metagrammi e ciò che voi volete.

Chi pensa che il linguaggio serva solo a comunicare non può comprendere
il bisogno di rivisitare il lessico per semplice curiosità o anche per cura. Due parole, queste ultime, di cui si va perdendo l’originaria parentela, per la quale chi è curioso, ovvero si stupisce di qualcosa, vuole altresì conoscerla e interessarsene con zelo e con premura. Noi restiamo ancora incuriositi dall’uso che si fa delle parole, ritenendo che un suo monitoraggio, come oggi si usa dire, non soltanto aiuti a verificarne lo stato di salute, ma consenta pure di valutarne la verità sociale. Ci serviremo di esse, in altri termini, per catturare il senso indotto tra la morfologia interna alla parola adoperata e il suo rinvio concettuale, tra la propria etimologia e i significati successivi, e ciò allo scopo di riuscire a valutare le derivazioni discorsive per cui la favola è favella e la parabola è parola.

Il probovirus è attento a ogni messaggio che provenga dalla prassi sociale e dai disseminati centri di potere. Vuole corrodere i discorsi dei conflitti veri e delle paci finte, infiltrarsi nelle dissertazioni terroristiche dei tanti esperti che infestano i media, decomporre annunci e allocuzioni di cui si avvalgono le scienze e le tecnologie per estinguere i cervelli. Intende insomma contagiare, in forme che vorremmo epidemiche, al gusto di stanare nella chiacchiera globale la retorica del vuoto e di scoprire dentro il lessico strumenti di salvezza personale e collettiva. Ciò che del linguaggio più si va smarrendo è, a nostro avviso, l’indole sottesa al gioco di parole, all’epigramma e allo sberleffo intelligente. Di essa c’è oggi più che mai un bisogno estremo, se vogliamo che ciascuno dica la sua parola e non si faccia cassa acustica di risonanza dei discorsi altrui.