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- 30 marzo 2007
Note a una proposta di legge sul napoletano
NOTE ALLA RELAZIONE DI ACCOMPAGNAMENTO
DELLA PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE
PER LA TUTELA E VALORIZZAZIONE
DELLA LINGUA NAPOLETANA
APPROVATO DAL CONSIGLIO PROVINCIALE DI NAPOLI
L'iniziativa è finalizzata a promuovere la tutela e la valorizzazione della sola lingua napoletana, con esplicita esclusione di ogni altro linguaggio pur presente e vivo nella tradizione culturale delle altre comunità campane. Lo strumento stesso che individua per conseguire tale scopo punitivo dell'insieme degli altri idiomi è quello esplicitato in un'associazione ancora da fondare, presentata come depositaria unica della cultura linguistica del capoluogo regionale.
Tutto il progetto è motivato da esigenze poste da una sorta di rimpianto o nostalgia per una Napoli scomparsa e idealizzata in chiave metastorica, tant'è che non tiene in alcun conto della lingua partenopea come strumento identitario della propria storia culturale e una risorsa collettiva e personale, la cui diversità costituisce un patrimonio da trasmettere e arricchire.
Assegna al napoletano solo una pari “dignità” con l'italiano, senza tener conto dei motivi che hanno ispirato le carte internazionali dei diritti linguistici individuali e collettivi e le norme della Unione Europea che puntano, al contrario, sulla preservazione delle diversità linguistiche come un bene irrinunciabile per tutti e per ciascuno, una garanzia del pluralismo culturale, della coesione sociale e della creatività personale.
Sceglie come modello della lingua napoletana, senza fornirne alcun motivo, quella di uso letterario della fine Ottocento. Ciò non soltanto presuppone una prospettiva quasi astorica che rischia di fossilizzare il napoletano alla maniera di una lingua morta, ma non coglie le potenzialità sempre emergenti di un idioma in vigorosa evoluzione tra i giovani, oltre che nella poesia, nella canzone e nel teatro.
Un lessico e una grammatica centrati sulla fine del XIX secolo sarebbero strumenti utili soltanto agli studiosi, non certo ai locutori che si avvicinano al napoletano per poterlo scrivere al giorno d'oggi. Basta dare uno sguardo alle scempiaggini con cui è scritto attualmente sui muri della città e sui cartelloni pubblicitari, oltre che su molti libri pubblicati.
Occorre inoltre ribadire che il bisogno politico, sempre più avvertito in tutta Europa, di una comunità sovranazionale come federazione di popoli e di stati tende verso una omologazione linguistica di cui si avvertono già oggi fortissimi segnali. Ciò comporta per le istituzioni nazionali l'obbligo cogente alla difesa della propria lingua e per tutte quelle delle comunità territoriali alla tutela dei linguaggi regionali.
Lingue minoritarie e dialetti locali vanno preservati sulla base dei princìpi e dei diritti consacrati tanto dalla Costituzione italiana agli artt. 3, 5 e 6 quanto dalla Carta europea delle lingue regionali e minoritarie del 1992 per cui va dato merito all'impegno di un campano come Gaetano Arfè, grandissima figura di partigiano e di uomo politico, di storico e giornalista.
Bisogna pure ricordare quanto affermava a tal proposito Pier Paolo Pasolini, ovvero che « le lingue regionali sono lingue nel pieno significato del ter mine, e qualche volta più ricche e più complesse delle lingue dette nazionali ». Tutti sanno, infatti, che queste ultime sono espressione di una supremazia politica di un dialetto su tutti gli altri, ma che solo le lingue delle comunità territoriali, provenienti da profonde e antiche tradizioni orali, sanno tenere sempre viva la spontanea e autentica parola di un popolo e dei suoi protagonisti.
La relazione non tiene conto, inoltre, che il napoletano che più si parla nella città di Napoli e, assieme a una didattica contrastiva, ovvero dal napoletano all'italiano, favorisce e sempre più favorirebbe la conoscenza e l'uso della lingua nazionale sia tra le nuove generazioni che tra gli extracomunitari. Spesso non facciamo caso al fatto che costoro imparano prima a parlare il napoletano popolare e poi passano a qualche frase in italiano.
La stessa didattica contrastiva si è già rivelata uno strumento di proficua utilità per l'apprendimento dell'italiano tra i ragazzi che frequentano la scuola ove si parla solo quella lingua nazionale a loro del tutto ignota. Motivo, questo, non certo secondario del diffuso fenomeno della dispersione scolastica e del disagio educativo in tutta la Campania.
Di notevole importanza politica e sociale è che la società civile si riappropri della propria lingua popolare mediante un uso colto, pubblico e diretto. Ciò sarebbe senza dubbio un duro colpo all'uso involgarito del napoletano, che ha reso questa lingua lo strumento principale di comunicazione che diffonde e radica attualmente su tutto il territorio la subcultura della illegalità e della camorra.
Gli oltre mille anni di storia di una lingua come quella napoletana, ricca attualmente di non meno di sei milioni di parlanti se ad essa si accompagnano anche i singoli linguaggi regionali non soltanto della Campania, illustre per la sua antica e sempre nuova espressione letteraria in ambito poetico, teatrale, narrativo e musicale, meritano molto più di un mero riconoscimento legislativo.
La legge di tutela deve garantire gli strumenti necessari a promuoverne non solo una documentazione, ma pure a favorirne tra le nuove generazioni la conoscenza e l'uso, organizzando appositi percorsi formativi nelle scuole e negli atenei, ricerche sulle tradizioni orali, diffusioni editoriali, trasmissioni radiofoniche e televisive, piattaforme multimediali.
Gli odierni locutori adulti dei linguaggi regionali sono nella loro grande maggioranza, – fonte Istat 2001 –, analfabeti di ritorno della lingua nazionale obbligatoria. A ciò si aggiunga che altresì sono incapaci di lèggere e di scrivere la lingua che persiste nella voce e nella mente, nonostante una oggettiva proibizione a conoscerla e impararla. Il risultato è che la maggioranza delle donne e degli uomini campani soffre nella realtà di un doppio analfabetismo.
Lo studio del napoletano, così come di tutti i linguaggi della Campania, nelle scuole pubbliche e private potrà avvenire solo con il verificarsi di tre condizioni. 1. Che sia normata una ortografia e una grammatica, possibilmente unificate a livello regionale, di ciascun linguaggio; 2. che su questa normativa vengano preparati appositi docenti; 3. che lo studio della lingua locale sia richiesto da ragazzi e genitori, previo accordo con la Sovraintendenza scolastica regionale.
In una visione regionalistica che dia finalmente spazio e mezzi all'espressione dei diritti linguistici della persona e delle comunità locali è ben angusto individuare come punto di riferimento per le ricerche e la valorizzazione dei linguaggi regionali questa o quella realtà d'associazione tra privati.
Occorre, invece, dare impulso a una struttura che raccolga competenze disparate sul piano linguistico e che sia rappresentativa di tutt'e cinque le province regionali, delle Università, delle associazioni a tale scopo organizzate ed operanti prima della stessa approvazione della legge.
Ed è su questa linea, infatti, che si sono mosse e continuano a muoversi le Regioni, e sono maggioranza oggi in Italia, già in possesso di una legge di tutela e promozione delle lingue originarie delle comunità territoriali.
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