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TOPONOMASTICA NAPOLETANA
Imparato Ferrante
via (a. m.). Farmacista napoletano vissuto tra il 1550
e il 1631. Cultore di studi naturalistici fondò un giardino
botanico e raccolse una collezione di minerali. La sua opera Historia
naturale in 28 libri venne stampata a Napoli dalla Stamperia Vitale
a Porta Reale nel 1599 e poi di nuovo a Venezia
nel 1672 e in latino a Colonia nel 1695. Scrisse un trattato Sui
fossili nel 1610 e il Discorso sopra le mutazioni dei paesi pubblicato
a Venezia nel 1672 in cui teorizzò che la causa dei movimenti
tellurici fosse da cercare nei processi meccanici degli strati interni
del pianeta. Del suo Erbario in 80 volumi non ci è rimasta
alcuna copia. Autore del termine madrepore (attinie, esocoralli),
con cui denominò le formazioni calcaree costituite dall’ammasso
degli scheletri esterni di celenterati che nei mari tropicali possono
formare barriere, atolli e autentiche scogliere. In particolare
egli studiò i pesci del Mediterraneo. Fu il primo, inoltre,
a ipotizzare l’origine animale dei fossili e la nascita dei
colori dalla rifrazione della luce. Personaggio di spicco della
cultura scientifico-naturalistica napoletana, fu vicino ai Lincei
e tenne una fitta rete di corrispondenza con studiosi di tutta Europa.
L’enorme circolazione delle opere e la fortuna del suo rinomatissimo
museo, sito in Palazzo Gravina, tra i primi delle
cosiddette wunderkammern, visitato da moltissimi viaggiatori e segnalato
addirittura nelle guide storico-artistiche dell'epoca, attestano
il ruolo non marginale di questo speziale, studioso-collezionista,
nel dibattito sulla scienza della natura tra Cinque e Seicento.
La strada che ne porta il nome va dal corso s. Giovanni a Teduccio
a via Traccia a Poggioreale.
Santa Patrizia
(a. m.) Narra la leggenda, di cui si dice autore un prete
Leone del monastero dei martiri Nicandro e Marciano, sorto sull’isolotto
di Megaride nel 492 ad opera di un gruppo di monaci ungheresi dell’ordine
di san Basilio, che la vergine Patrizia, nata dalla stirpe imperiale
di Bisanzio, viaggiasse verso Roma con la nutrice Aglaia ed altre
sue compagne per sfuggire a nozze imposte dai suoi genitori. Sbarcata
a Napoli per una sosta, Patrizia si recò in quel monastero
per chiedere grazie ai suoi due santi e impresse il segno della
croce sul posto dove avrebbe poi trovato sepoltura. Papa Liberio
poi l’accolse a Roma e fece pronunciare i voti con cui si
rendevano monache lei e le sue compagne. Tornata a Bisanzio distribuì
il suo patrimonio ai poveri, imbarcandosi poi per la Palestina,
ma verso Napoli una tempesta deviò la nave. Approdò
di nuovo all’isolotto di Megaride, ma una malattia la condusse
a morte. Ammonita da un angelo nel sonno, la nutrice Aglaia chiese
e ottenne dal duca della città un carro condotto da due indomiti
torelli perché da soli trasportassero il feretro lì
dove sarebbe stato poi sepolto ed essi, attraversate strade e piazze
dal pretorio al mare, si fermarono a Megaride, davanti al monastero
ove Patrizia era già stata. Il suo sepolcro venne costruito
proprio dove aveva apposto il segno della croce e vi rimasero a
custodia le monache compagne, mentre Napoli la proclamava sua patrona
e protettrice delle partorienti. Secondo il testo di Leone tale
eventi sarebbero accaduti nel 365 e la pia menzogna si spiega con
il tentativo di rendere Patrizia una nipote nientemeno dell’imperatore
Costantino. Tuttavia la data si rivela un falso, sia perché
soltanto nel 492 sorse il monastero dei basiliani, sia perché
solo il 14 agosto 554 Napoli divenne un ducato bizantino con Scolastico
suo duca. Tali eventi, invece, possono essere avvenuti nel 663,
quando Costante II, imperatore di Bisanzio, venne a Napoli per fare
di Basilio il primo duca di nomina imperiale e non più insediato
dall’esarca di Ravenna, in quanto è certo che i monaci
basiliani si aggregarono al monastero di san Sebastiano
proprio nel VII secolo, così da consentire che le monache
restassero nel posto dove avrebbero onorate le reliquie della loro
amica. Per i miracoli compiuti essa fu ben presto acclamata come
santa e la chiesa intitolata prima ai due martiri greci prese il
nome di santa Patrizia. Su progetto di Giammaria della Monaca il
complesso fu restaurato nel 1607, conservando il proprio assetto
bipartito in quella che si chiama “chiesa di fuori”,
dove pubblicamente si celebrava la messa, e quella “di dentro”,
aperta per le visite due volte all’anno quando vi erano esposte
molteplici reliquie. Nel 1864 le reliquie della santa e della beata
Aglaia, insieme con le suore che le custodivano, vennero aggregate
al monastero di san Gregorio Armeno, dove ancora
adesso si può assistere al miracolo del sangue di Patrizia
che si espone alla destra dell’altare maggiore il 26 agosto
di ogni anno, il giorno della morte della santa. In questa ricorrenza,
alla presenza dei devoti, il coagulo scuro contenuto in un’argentea
teca seicentesca cambia in rosso vivo, si liquefa e ribolle.
Toponomastica campana
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