<%@LANGUAGE="JAVASCRIPT" CODEPAGE="1252"%> Istituto Linguistico Campano


               
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Comme capì che ccape a ccuoppo cupo
di Serse Turao

In napoletano si tramanda no ai bambini come scioglilingua gli incompresi endecasillabi:

A ccuoppo cupo poco pepe cape
e ppoco pepe cape a ccuoppo cupo .

Testo parecchio oscuro, perché non si capisce quale sia il motivo per cui un cartoccio conico profondo - è questo infatti il significato di cuoppo cupo - debba contenere poco pepe e ribadendolo in due versi successivi con ripetizione dei significanti per il tramite d'un chiasmo e delle sonorità mediante allitterazione. Senza nulla aggiungere, però, alla semantica del distico in questione.

Non può illuminarci, certo, l'equivalente tautogrammatico inglese:

Peter Piper picked a peck of pickled peppers.

Né ci soccorre una lapide bavarese che racchiude in tautogrammatica quartina l'esistenza pepaiola d'un droghiere:

Piper peperit pecuniam
Pecunia peperit pompam
Pompa peperit paupertatem
Paupertas peperit pietatem .

C'è chi ha provato a sciogliere il bisticcio dando a 'cupo' il significato di ripieno, zeppo, e in tal caso il senso degli endecasillabi sarebbe quello di avvertirci che, quando la misura è colma, non si riesce ad aggiungervi altro. Una specie, dunque, di nec plus ultra o, se si preferisce, di "chi si contenta gode". Ma questa soluzione, stranamente fatta propria dall'Altamura, in realtà non risolve nulla. Innanzitutto perché in nessun caso 'cupo' ha mai significato 'colmo' e, in secondo luogo, in quanto entrambi i versi ribadiscono che nell'involucro, sia pur ridotta ai minimi termini, c'è ancora una capienza per il pepe, e dunque la misura non è affatto colma.

I due endecasillabi napoletani corrispondono in toscano al noto scioglilingua:

In coppo poco cupo poco pepe pesto cape.

Qui si mostra subito evidente che due sono i termini eccedenti. Sbarazzandoci del 'pesto', in tutto equivalente ai partenopei spestellato o macenato in cui si riducono per l'uso culinario i grani o i frutti interi delle piperali, non possiamo non notare la presenza di un 'poco' duplicato. Al 'poco pepe', ben presente anche nel distico napoletano, si accompagna un 'poco cupo', quale ci saremmo atteso anche noi per dare un senso compiuto al vecchio scioglilingua.

Soltanto se il cartoccio ha una scarsa profondità è possibile capire, infatti, perché mai contenga poco pepe. E per la verità non fa una gran differenza se quel pepe sia poi macinato o intero. Se in Toscana hanno voluto aggiungere alla frase un esornativo 'pesto', a Napoli si è, per così dire, bilanciata la misura eliminando un 'poco'. Al sovrappiù d'una inutile parola ha corrisposto una detrazione che comporta perdita del senso. Ma perché mai sottrarre una parola necessaria alla completa comprensione del besguizzo ? Semplicemente perché in Toscana si è badato solo alle regole della ludolinguistica allitterativa. A Napoli, invece, ha prevalso una ludopoetica dell'allitterazione e, pur di avere due perfetti endecasillabi, si sono volentieri sacrificate al gioco le due sillabe del 'poco'. La metrica si è imposta sul buon senso.

 

Socrate, Galiani e... io
di Amedeo Messina

Nel Socrate immaginario del 1775 Ferdinando Galiani e Giambattista Lorenzi trascrivono i princìpi della dotta ignoranza in una quartina di ottonari il cui groviglio di allitterazioni si esaltò nella musica sublime di Giovanni Paisiello.

Sa chi sa, se sa che sa,
ché se sa, non sa se sa;
sol chi sa che nulla sa
ne sa più di chi ne sa.

L'arguto abate illuminista ne avrebbe ben potuto anche fornire una versione in napoletano. O forse l'avrà composta, ma non c'è pervenuta. Mi son preso allora io stesso il gusto di proporne una riscrittura in endecasillabi, come fossero davvero di un "Galiani immaginario".

Sape chi sape, si 'e sapé isso sape,
pecché si sape, iss' 'e sapé nun sape;
sulo chi sape ch'isso niente sape
assaie ne sape 'e cchiù 'e chi overo sape.