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scanzìa

Lingua e cultura contadina a Somma
di Luigi Chiappinelli

“La casa contadina” è a mio giudizio il frutto
più completo della cultura umanistica di
Angelo Di Mauro: una rievocazione a tutto
tondo della cittadina vesuviana che gli ha dato
i natali nei suoi personaggi, per lo più di
umili condizioni, nelle sue costumanze,
nei suoi proverbi, oltre che nell'ambiente
geografico e in alcuni risvolti storici. Vi alita
un soffio di poesia tanto non ricercato di
proposito, quanto robusto e persistente,
dettato dall' amor loci : su di esso mi sia
consentito soltanto questo spoglio cenno,
potendo il lettore per suo conto gioirne,
approfondirlo e confrontarlo, preferibilmente
alla luce della trilogia poetica Ed è il tempo
(1978), Paesaccio (1979), Verdeanima (1980).

 

In questa sede mi ripropongo piuttosto di tentare un'analisi di almeno alcuni dei motivi d'interesse di questo libro riportabili sotto il denominatore comune dell'espressione linguistica; probabilmente, se l'Autore ha in mente una nuova edizione, potrà tener conto del suggerimento amichevole che una disposizione con più collegamenti fra pagine ed indice gioverebbe a rendere più facile e godibile la lettura.

Il gioco degli angeli, che apre il volume, percorre con dovizia di descrizioni gustose un mondo infantile e adolescenziale libero di esplicarsi in un ambiente radicalmente diverso da quello asfittico dei moderni centri abitati: fatto di spazi aperti, dove sono presenti gli animali, dove, per portare un solo esempio, si può fare sia la corsa nei sacchi autorizzata dalla tradizione che la feroce sassaiola solo talvolta effettuata con materiali diversi dalle pietre. Si tratta dunque di una sensazione di libertà – la quale non di rado degenera in sfrenatezza – che è impossibile avvertire in condizioni ambientali dove prevalgono l'angustia e la costrizione imposti dalla ristrettezza spaziale.

Qui, al contrario, l'avventura, il sentimento del rischio così connaturati ai ragazzi corrono e si sviluppano, fra altre occasioni, sul recinto delle mura aragonesi (“era il nostro dinosauro di pietra; ...; un trampolino di lancio nelle fughe; un territorio di caccia alle lucertole ed ai serpenti...”): come a dire un ambiente che presenta – e naturalmente non solo qui – un felice connubio tra natura e storia. La storia poi non è solo quella del passato e dei libri, ma anche quella contemporanea, che è fatta di esperienza vissuta: per esempio si veda la descrizione di come i bombardamenti dell'ultima guerra mondiale abbiano condizionato nella cittadina vesuviana, come anche in tante altre località, il modo di alimentarsi. Il pane di granone, lo scagnuozzo , si affermò in un'epoca di miseria, ma ben presto venne rimpiazzato dalla farina bianca portata dai camion americani (e il ricordo delle rettangolari forme di pane bianco e profumato è rimasto impresso anche nella memoria di chi stende le presenti note).

Quanto alla natura, essa comprende anche il corpo nelle sue espressioni più materiali, risollevando alla considerazione quegli aspetti che la pruderie si affanna di solito e non sempre con successo a nascondere: processo quest'ultimo nel quale sociologi come Norbert Elias hanno individuato la sostanza stessa dell'avanzamento della civilizzazione (cfr. La civiltà delle buone maniere , il Mulino, Bologna, 1982; Potere e civiltà , il Mulino, Bologna, 1983). Ma si possono accettare integralmente punti di vista come questi, che impongono agli individui una serie di vincoli e restrizioni a cui la nostra realtà fisica non sempre si sottomette agevolmente? In una prospettiva più vicina alle ragioni della naturalità, e starei per dire naturalezza, si prendano in considerazione modi di dire sommesi come Porta tutte l'argumente (cioè gli organi sessuali); S'ammesuraje 'a palla (considerò le sue naturali capacità); la invocazione delle adolescenti: Luna lunella famme crescere nu poch''e puntella , contrappuntata dalla corrispondente maschile: Luna lunona, famme crescere nu bellu bastone , o, in tema di sommovimenti viscerali, si rilegga l'esilarante vicenda di Fiore e Fieto. Tale tendenza ispira anche la formazione di alcuni soprannomi: Pascale 'e Sulemaglio “tutto pene”; Giovanni alias Cacune (attestato nell'anno 1282 nel libro di A. Di Mauro - Università e Corte di Somma - I Magnifici – Ripostes, Salerno, 1998, pag. 75).

Verso la metà del volume il capitolo Contranomi introduce in un settore dove risalta anche l'aspetto e l'interesse linguistico. Qualsiasi nome si portasse, dice l'Autore, era sempre pronta la storpiatura, l'accidente che scatenava la fantasia e la turlupinatura dei compagni, propiziate non di rado da rime e filastrocche costruite al momento sul tipo “ 'a mugliera d''o masterasce / tene 'o culo avasce avasce ”. Per qualcuno di questi soprannomi di interpretazione meno palese nelle talora remote origini, mi proverò a dare, accanto alle indicazioni dell'Autore comprese in parentesi, qualche ulteriore cenno esplicativo nella direzione etimologica.

Chillo 'e Buglione (“da gran confusionario”) < francese bouillon “pantano che ribolle”: cfr. la località napoletana di Volla , La Bolla , nome di un bagno ricordato nelle pagine dell' Archivio Storico delle Province Napoletane del 1886; i nomi di luogo piemontesi Bogliòne, Bollengo , con la voce dialettale bola 'piccolo laghetto', accanto al cognome Buglione, che risalgono tutti al verbo latino bullire “bollire”. Dal ribollire delle acque è comprensibile il passaggio alla metafora ‘confusionario'.

' Ntonio 'o Chiacchio (“parolaccia, maiale?”). Possibile anche da chiacco , quacchio , “cappio” nel senso figurato di “pendaglio da forca”, “cattivo soggetto”.

Chillo 'e Furtecellone (“rotella del fuso”). Dal latino verticillus , con lo stesso significato. Lo ritroviamo anche in nomi di luogo come nel Casertano Sorgente Vertucole , da verticulus , altro diminutivo di vertex ‘vertice' .

Filumena 'a Mezaricìne (“mezzo leccio”). Risale a lat. ilicinus , derivato aggettivale di ilex,-icis .

Giuvanne 'e Peroccola (“randello nodoso”). La voce è stata fatta risalire da V. Valente a lat. pedum ‘vincastro'+suffisso - occa , ma le forme abruzzesi parrocca, varrucce mi farebbero pensare piuttosto a derivati dal lat. parlato * barra (con il simbolo * viene indicata una voce non documentata, ma ricostruita).

Chillo 'e Picchiacchèllo (“vanitoso, smargiasso), diminutivo al maschile del nome che indica nei dialetti campani gli organi genitali della donna.

Francisco 'o Tufulo (“parte interrata del palo...”). È il lat. tubulus, dimin. di tubus in forma oschizzata, come ci mostra la / f/ intervocalica.

'E ritte (parte III del volume) raccoglie, come esplicita il sottotitolo, “Proverbi, detti, prescrizioni rituali e stagionali”. Vale la pena citare almeno qualcuno di quelli che, indissolubilmente legati agli usi e alle costumanze del territorio, non si troverranno probabilmente nelle raccolte dei proverbi napoletani o campani. Rimando al testo per le relative spiegazioni.

A caiommole appizze 'nterra e fa 'e crisommole.

A Castiello saglie cu''a vozza e scinne cu 'o scartiello.

A 'Nnunziata 'e fasule nun vanno semmenate, o sinnò esceno 'mpurecchiate.

'A rrobba d''a campagna è meza d''e cumpagne.

A Somma nun se mete e nun se scogna.

'A terra 'e zi' Fattella tutte ce vanno a cogliere.

'O mese d'aprile nun refile, 'o mes''e maggio adagi''adagio, 'o mes''e giugno miéte 'e scugne.

E ne andrebbero citati diversi altri. La gran parte rimandano ad una realtà contadina dentro la quale sono sorti e nella quale vanno intesi e contestualizzati: esprimono caratteristiche territoriali autenticamente genuine.

“Le Voci” (parte IV del volume), ovvero “I modi di dire” ed altro, presentano ancora punti di interesse:

Io ero tutt'accuoncio, 'a vammana me scuncecaje .

'Nzuonno se vasano 'e figlie .

Nun so' piscetiello 'e cannuccia o guagliunciello 'e paranzella.

Scappà a suonno.

Sape 'a lecca e ' a mecca e 'a fabbrica d''o ttabbacco.

Steve cull''ove 'mpietto.

Ma il settore linguisticamente più interessante è il vocabolario dialettale sommese, rispetto al quale, ben consapevole di addentrarmi su un terreno denso di trabocchetti, tenterò un'operazione di discriminazione degli elementi più propriamente “locali” che possano configurare un nucleo parallelo ed aggiuntivo rispetto al dialetto napoletano.

Cacciato “terreno lavorato a terrazzamenti” è evidentemente un derivato dal verbo cacciare, qui nel senso di togliere la vegetazione spontanea e appianare le asperità del suolo per renderlo adatto alle coltivazioni e sottrarlo all'incolto.

Cannavottela “rana”; - vuottelo “rospo”, dove è da notare il canna , cioè la gola – che sostituisce il rana – dei dialetti meridionali, in quanto l'animale protende, lancia la “favetta”.

Cannetella “bruco” < candida , dal colore bianco che contraddistingue una numerosa famiglia di bruchi.

Casàrcena / Casarcela “ammasso di fascine con catafalco, rogo”. Non mi è risultato agevole sbrogliare etimologicamente questi termini in cui la parte iniziale nulla può avere a che fare con … casa. Riconosciuta la sàrcena , l'ammasso di essa ( 'ncasà ) spiega la sillaba iniziale, come conferma il participio 'ncasasarciato , ‘ben sistemato con pressione per farcene entrare di più', il quale evidentemente sta a monte della forma lessicale.

Cèra “il fusto lungo dell'albero abbattuto”, in questa accezione è conosciuto anche in alcuni dialetti lucani.

Cellentrana “canto di carrettiere diretto verso il Cilento”, da canzone Cilentana, con epentesi di/r/.

Cevielo “lettiga in legno per il trasporto di letame”; rimane per me senza spiegazione.

Ciaurro “pietra inutilizzabile per il muratore”, che corrisponde al napolet. savórra , pugliese settentrionale ciavurrë ‘pezzo di pietra', ‘i grandi mucchi di fieno sul prato'; da lat. saburra .

Cometitore “convitato, accompagnatore” che sarà in nesso con cummità ‘invitare', anche se dalla forma attiva mal si spiega la prima accezione. ( comedere “mangiare insieme”e comitari ‘accompagnare' non sono qui in gioco).

Cugnurere “connettere, capire”, usato nell'espressione ‘chisto nu cugnure'; apparentemente da una forma volgare * cognorere ), modellata su ignoro con senso oppositivo, parallela a cognoscere “conoscere”. È tramandata una foma latina gnoritur , accanto a gnaritur ‘viene reso noto'.

Faretiello “crusca da farro” anche in lucano farru < lat. farris . Segno di continuazione dell'uso di questo ‘storico' cereale, assai inferiore al frumento.

Fittià “guardare insistentemente” < lat. fictus “fitto”; cfr. siciliano ant. affictari con lo stesso significato del vocabolo sommese.

Fusara “vasca per la canapa” < lat. * infusarium ( stagnum ); cfr. top. nap. Fusaro .

Gavete , Gaude “località boschiva con pozza sorgiva”, sopravvivenza preziosa del longobardo wald “bosco”.

Macella “castagna tempestiva, primizia”; del tutto improbabile da un lat. macella diminutivo di macer “magro” che non ha lasciato tracce romanze. Macella è sinonimo di pónteca ‘tempestiva, precoce'.

Maglià “masticare”, senso diverso da quello di “castrare” usuale nei dialetti.

Marrocco “tradimento, spia, delazione”, usato soprattutto nell'espressione puorte 'u marrocco , ‘porti spia'; di origine non chiara.

( U ) mbrìa “ombra”, che si confronta con toscano merìa , - o < lat. meridies “mezzogiorno”, come Mbriana < meridiana .

'Nzubinato “di persona cui sale il sangue alla testa all'improvviso” in nesso con il termine dialettale nap. zubba , un ficosecco' (G. Basile, Il Pentamerone , Petrini, +++++++++++++, glossario); ‘risposta vivace a provocazione che venga fatta, un cavolo, un corno' (R. D'Ambra, Vocabolario napolitano-toscano domestico di arti e mestieri, ++++++++++++, Napoli, 1873), che va aggiunto ai riflessi dialettali di arabo zubb ‘ membro virile', per cui vedi M. Cortelazzo – C. Marcato, Dizionario etimologico dei dialetti italiani, Utet, Torino, 1992, p. 256. La penetrazione di questo come di altri arabismi può essere avvenuta tramite contatti marinareschi documentati per il Cilento meridionale, in particolare nella zona di Camerota.

Pèllaro ‘zona selvatica', da una base prelatina *pella/pala ‘roccia' che ricorre in voci della toponomastica come il salernitano Pèllare, l'ischitano Pièllero, ecc.

Percune “solco alto”, riflesso di lat. porca .

Pessurée , prob. “figlia unica”, rilevato dalla fiaba Giuvanne ‘o Resperato di I. Russo. L'autore riferisce che l'informatrice spiegava l'aggettivo pessurée per qualificare l'affetto del padre verso la figlia unica Petrosinella. Di etimo oscuro.

Piè(l)leso “pianta giovane, selvatica, adatta all'innesto”, anch'esso termine non chiaro (nella parte iniziale sembrerebbe esserci qualche assonanza con pèllaro )

Pitonto “scemo”, in cui la sillaba iniziale potrebbe rappresentare un rafforzativo da lat. bis -, come in settentr. ber-lusco (luscus ‘di vista debole').

Schiappa , - one , “forte pendio montano” < prelatino * klapp- , che sopravvive nelle isole del golfo e in qualche altra località della provincia napoletana sia come raro termine geonomastico che nella toponomastica.

Taurano “acero”, che vedrei come formazione aggettivale da prelat. * tauro “monte”.

Uoffelo “parassita”, ‘vermiciattolo mangiapatate', (mentre nel napolet. indica la guancia, detta anche masca(riello). Da una voce onomatopeica buff che indica oggetti rigonfi.

Varrino “carro”, in nesso con voci quali varra ‘bastone', varrecchia ‘ barilotto', ecc.; da* barra “sbarra”.

Vavillo “correggiato...”. Premesso che l'ipotesi del D'Ascoli che accredita una derivazione da gavillo appare dubbia per l'inesistenza di questo termine dialettale, l'autore pensa ad una trasposizione simbolica della credenza secondo la quale il raccolto lo portano gli avi e nel dialetto sommese l'avo è detta vavo .

Vutecaglia “gli intestini” che è una formazione collettiva da vutecà “voltolare”, sul tipo di calabrese e lucano 'ncinaglia , “inguine”.  

Angelo Di Mauro
La casa contadina
Salerno, Ripostes, 2005

 

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