Il 28 marzo scorso l'aula della Camera dei deputati ha approvato con 361 sì, 75 no (Lega Nord Padania e Rifondazione comunista – Sinistra europea) e 28 astenuti la proposta di legge costituzionale sul riconoscimento dell'italiano come lingua ufficiale della Repubblica fondata sul lavoro. Il provvedimento tende ad aggiungere all'art. 12 della Costituzione del 1947 questo secondo comma: “L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali”.
La proposta seguirà nei prossimi mesi il suo lungo iter parlamentare per essere approvata dal Senato con un intervallo temporale non inferiore di tre mesi e da qui tornare, dopo almeno altri tre mesi, nuovamente alla Camera dei deputati e poi di nuovo al Senato dopo altri tre mesi. Occorre inoltre, in seconda deliberazione, la maggioranza qualificata, ossia la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera che va calcolata non sul numero dei presenti, ma sul totale complessivo dei membri del collegio, o almeno la metà più uno degli stessi membri. In quest'ultimo caso, tuttavia, è previsto l'intervento popolare tramite un referendum.
L'on. Franco Russo ha motivato il no di tutto il gruppo dei deputati di Rifondazione comunista – Sinistra europea con queste considerazioni:
la proposta contraddice il pluralismo culturale;
la richiesta dell'ufficialità di una lingua è un errore culturale perché ne fa un oggetto naturale al di fuori della storia;
esalta una identità nazionale in danno dei linguaggi regionali.
L'on. Roberto Cota a sua volta ha motivato il voto contrario dei deputati della Lega Nord Padania con le seguenti considerazioni:
la proposta è inutile perché l'italiano lo si parla in tutta Italia;
essa copre il mancato riconoscimento delle identità locali;
è un'ulteriore affermazione dello Stato centralizzatore e antifederale.
A parer mio bisognerebbe ricordare, invece, che la Costituzione garantisce già all'art. 3 la “ pari dignità sociale ” di tutti i cittadini senza distinzione di lingua e all'art. 6 tutela le minoranze linguistiche, lasciando alle regioni competenza per legiferare in ordine ai linguaggi propri delle comunità territoriali. Leggi di tutela, valorizzazione e insegnamento nelle scuole delle proprie lingue regionali, infatti, sono già in vigore dal 1990 in Piemonte e in Liguria, dal 1994 in Emilia-Romagna, dal 1996 in Friuli, dal 1997 in Sardegna, dal 2004 nel Lazio e nel Veneto dal 28 marzo 2007.
Non va dimenticato che con legge n. 482 del 1999, la prima a dichiarare al primo articolo che “la lingua ufficiale della Repubblica è l'italiano”, in Italia si promuove la valorizzazione e la tutela delle lingue e delle culture delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene, croate e di quelle locutrici del francese, franco-provenzale, friulano, ladino, occitano e sardo. Rientrano in tal modo sul bilancio dello Stato nazionale anche i linguaggi regionali della Valle d'Aosta e del Trentino-Alto Adige.
Mancano all'appello e sono ancora senza protezione le lingue in uso in Lombardia, Toscana, Umbria, Marche, Abruzzi, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. In questo elenco si noterà, in particolare, la presenza al gran completo delle regioni meridionali. Latitanza legislativa, se si vuole, variamente motivata, ma pur sempre denotante un'avversione o un'insipienza verso i diritti linguistici dei popoli e dell'uomo. Diritti consacrati dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, dalla Carta europea sulle lingue regionali del 1992, dalla Dichiarazione universale dei diritti linguistici espressa a Barcellona nel 1996, ma nel Mezzogiorno tuttavia derisi e conculcati da una borghesia politicante e salottiera che per apparire colta strizza l'occhio a De Filippo, ma rifiuta di parlare comme l'ha fatta 'a mamma .
Occorre ricordare, in verità, che il 24 febbraio 1990 la Campania si dotava di una legge regionale con la quale si sarebbe dovuto creare un Istituto Linguistico Campano con un patrimonietto iniziale di poche centinaia di milioni di lire. Sennonché esso non ha mai funzionato, non giungendo neppure alle nomine ufficiali degli organismi necessari e alla individuazione di una sede. Tredici anni dopo, nel silenzio generale dei partiti e della stampa, quella legge fu abrogata il 14 marzo 2003, in controtendenza piena con le lotte per il sostegno dei diritti linguistici in tutta Europa e nel biasimo oggettivo dei politici verso lo strumento principale della popolazione locutrice e il grande patrimonio culturale espresso dal teatro, dalla poesia e dalla canzone di Napoli nel mondo.
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