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mprìmmese

 

 

20 luglio 2003
a cura di Scemulillo

Cràstula, ovvero scarda di coccio, di vetro o di altro materiale. Insomma scheggia, parte frammentaria di un tutto che fu unito ed ora è fesso o rotto.
E così si dice pure la pietra che vorrebbe essere preziosa e il reperto archeologico fasullo. Ma cràstula è anche, per omofonia non infrequente nella lingua napoletana, (avrebbe entusiasmato Raymond Roussel), un uccello che i toscani chiamano “averla” e che i latini nominavano avis querula, perché emetteva un suono lamentoso. Nun crastià si dice appunto a chi non la smette di parlare, dando noia con suono chioccio sempre uguale. Nelle mie brevi noterelle circa il mondo del teatro e dell’arte in generale starò appollaiato sopra un ramo e tenterò di dare “noia” fino a quando non mi tireranno nu scarpone costringendomi alla fuga fra uno svolazzar di penne.


Napoli - P.zza Municipio
Resti di quel che fu il Museo dell'attore

La prima cràstula è dedicata al Museo dell’attore, o di quello che ne resta.
Sono passati circa due anni da quando una folla di appartenenti al bel mondo politico culturale napoletano, il mieux de la ville, si accalcava in lunga fila davanti alle scale che scendono, di fronte al teatro Mercadante, verso quello che fu un tempo il glorioso “diurno Cobianchi”. Tutti questi assidui frequentatori del jet set partenopeo (o dio, jet mi pare troppo: è più indicato lo sciarabballo) dovevano forse mingere urgentemente, tutti nello stesso momento e tutti dietro al facente funzione di sindaco Marone!
Un’epidemia di coliche improvvise sospingeva i blasonati verso il luogo storicamente noto per accogliere benefiche liberazioni di vesciche e di sfinteri esausti di stanchi viaggiatori!
Ebbene, il passante che avesse formulato questo giustificabilissimo pensiero avrebbe avuto torto. Si inaugurava nientemeno che il Museo dell’attore. Mutande di Tina Pica, cazette di Pupella Maggio, la scarpa destra di Peppino, quella sinistra di Eduardo, la figlia di Totò sul trespolo (perché ormai vive facendo istituzionalmente la figlia del sempre amato principe), insomma na cràstula ’e specchio e il becco di un pappagallo che perdemmo nel ’23, come le reliquie ed i cimeli che Mangione e Valente conservavano nella loro celebrata ’A casciaforte.
Punto da curiosità e da speranze il vostro autore, dopo una paziente attesa, fu ammesso a scendere nel cesso, pardon, nel museo, e velocemente ne fuoriuscì annoiato e non avendo altre impellenze da espletare.
Un commosso critico d’arte (sic!) e un gongolante scenografo illustravano al pubblico, in genere politici maroniti (disastri della campagna elettorale!) i nobili cimeli con tutto il carico di luoghi comuni che di solito ad essi si accompagnano (lo conoscevo, quanto era bravo, sì mi ricordo, e poi gli aneddoti... i maledetti aneddoti!).
Passa un anno, passa due, e chi cercasse ora il museo non ne troverebbe più nemmeno l’ombra! Annegato, sommerso, (no: meglio mutar metafora!), volatilizzato, desaparecido! Rimossa la pomposa segnaletica, sprangate le porte. Resta solo accessibile il varco originale, quello che menava ai pubblici bagni, al glorioso Cobianchi. O potenza vera del genius loci, o vocazione predestinata dei sacri siti!
Riposte con cura le cazette, le mutande e le memorabili reliquie in qualche deposito comunale, il critico è diventato consulente per il teatro dell’assessore alla cultura della regione, del comune, della provincia, del condominio, ecc. ecc., e, per questi chiari meriti, membro del balzano e folclorico consiglio d’amministrazione del teatro Mercadante. Lo scenografo, invece, è diventato regista, architetto e ingegnere di tutti i teatri del regno!
Ah! Dimenticavo Marone (certo, non Virgilio). Fu trombato come sindaco (meno male!) e si ebbe in cambio una promozione ad “onorevole” d’Italia.
Chi esce vincente dalla squallida vicenda è l’anima buona del Vespasiano d’imperial prosapia che torna da solo a dominare nei sotterranei di piazza Municipio, accogliendo con affetto e parimenti lo stremato cittadino e il bisognevole turista.
Va da sé che il gioco del museo dell’attore (dint’ ’o cesso) fu lautamente finanziato e ciò che l’erario ha sperperato da noi venne pagato, l’attore fu sfrattato (perfino post mortem) e il furbo fu premiato!

Mi firmo il vostro affezionato Scemulillo