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'A pezza e 'o suricillo

di Amedeo Messina

Un vero e proprio rompicapo della linguistica campana è il senso originario di una popolare imprecazione assai diffusa ancora oggi. Mannaggia 'o suricillo e 'a pezza nfosa è infatti l'indulgente soluzione di un domestico pasticcio, di un modesto inconveniente o di una improvvida sventura accolta con il massimo equilibrio. Locuzione idiomatica a suggello d'un evento critico capace d'essere risolto dalla lingua. Modo di dire con funzione sedativa, potremmo dire, come ve ne sono tanti e in ogni paese, in quanto sono balsami per anime eccitate, ma che non svela il suo significato, nonostante questo endecasillabo ritorni sulle labbra un po' dovunque nelle case e per le strade.

La maggioranza degli ermeneuti ha visto nella pezza nfosa l'umido stoppaccio che, venendo via dall'apertura della damigiana d'olio, cui era apposto un tempo per chiusura, consentiva ai sorci di saltarci dentro, procurando così un grave danno. Il D'Ascoli giudica, beato lui, «l'origine dell'espressione [...] semplicissima», e ne inventa lì per lì una tutta personale, dal momento che probabilmente ha una radice in storie familiari. Egli ha pensato alle filacce rilasciate dallo sfregamento dello straccio per lavare i pavimenti e di ciò convinto ne ha dedotto una eufemistica invettiva con autrice originaria una massaia. Il De Falco dimostra invece una maggiore fantasia, ma con ben poca deferenza per l'igiene personale dei napoletani, attribuendone la paternità a qualche scugnizzo insofferente al cencio inumidito che si strofinava per eliminare la sporcizia dalla pelle.

Per quanto mi riguarda sono del parere che all'origine non c'entrino per nulla sorci e stracci, se non come sostituti eufemistici degli organi di cui la pubblica decenza vuol tacere il nome, e inizierò col sostenerlo ricordando che l'unico caso nel lessico latino di un termine il cui senso proprio ci sia del tutto ignoto, se non per il fatto di stare al posto di mèntula , è xurikilla , attestato in IV, 8380, del "Corpus Inscriptionum Latinarum". A mio parere si tratta d'una forma vezzeggiativa scempia, senza dubbio popolare, del sorex dei Latini che ha incontrato l' urax dei Greci, ovvero il sorcio in italiano e 'o sórece in lingua napoletana. Insomma, siamo innanzi all'antenato del nostro arcano suricillo .

Che il pene venga spesso rappresentato nell'immaginario collettivo e dunque nel linguaggio come un'entità con vita propria, per cui lo s'identifica volentieri con i più diversi animali, è cosa nota. Sappiamo pure che la classicità greca accostò il pene alla lucertola, al serpente, al toro e al cavallo. Quella latina adoperava altresì la metafora del passero o del colombo. A Napoli, attualmente, son di moda immagini zoomorfe che vanno dall'ittica ai volatili e altro ancora. Ugualmente accade in tutta Italia e in quella settentrionale, in particolare, son diffusi i nomi 'sorca' e 'topa' per designare il genitale femminile. 'Topo' e 'topaccio' sono adoperati per quello maschile.

Il colore e la prolificità dell'animale hanno contribuito fin dai tempi arcaici a diffondere un rapporto metaforico tra il sorcio e il pene. Per quanto riguarda i tempi più recenti e l'area partenopea l'immagine ricorre tra i giochi erotici rimpianti dalla Marta di Giordano Bruno ( Candelaio , IV, 9), che in un cursorio elenco ci ricorda un ignoto " sorecillo ", al cui trastullo non doveva certo mancare, io credo, una " pezza nfosa ". E che sarà mai quest'ultima, una volta identificato il sorcio? La si riconoscerà nel cambio delle consonanti d'un pudico ludogramma, in cui la effe è divenuta pi e la esse è trasformata in zeta. Oppure procedendo per indizi.

La semantica dell'eufemismo in quello che una volta si diceva turpiloquio assume forme differenti sulla base del rapporto stabilito tra la realtà sessuale richiamata dal discorso e quella pronunciata. Si producono così forme volgari oppure oscene, forme comiche o sublimi, forme tragiche o banali. Trascuro qui questioni estetiche o morali per venire a quelle che dirò ludolinguistiche, imperniate sugli scarti consonantici o vocalici, sui registri metaforici o allusivi, sulle correzioni marginali o altro ancora. Il significato della " pezza nfosa " lo si trova, infatti, nella metonimia dei panni, intesi in senso collettivo per i genitali dei due sessi, così come per l'imene abbiamo il nome di 'panno virginale' ben documentato dal Boiardo in poi. Il panno lino come capo di biancheria intima rinserra quella che si chiama anche fontana, fonte, lago, mare, brodosa, mussa, trattenendone i liquidi cui danno nome d'acqua, di rugiada, umore ed altro ancora.

Sorcetto e panno inumidito hanno pertanto un chiaro senso che richiama un'esperienza contro cui bonariamente si continua ad inveire per effetti poco allegri e, quando se n'è perso il suo significato originario, solo il primo è tra di noi rimasto. Tranne, forse, in una locuzione idiomatica assonante, e in verità meno diffusa, che risuona nell'endecasillabo eufemistico Mannaggia 'o piripillo e 'a pippilosa . Non si tema. Non sto proponendo un nuovo enigma. A coloro che non avessero mai udito questa esclamazione dirò che piripillo è in area meridionale uno dei più diffusi termini sinonimi del pene e, in particolare, nomina quello sfringuellante dei piccoli maschietti. Viene dal latino pipinna , voce tramandata da Marziale (XI, 72, 1) e che al toscano ha dato quella di 'pipino'. Il suo equivalente femminile è pippilosa , che sta al panno inumidito di cui sopra, così come al sorcio corrisponde piripillo.