<%@LANGUAGE="JAVASCRIPT" CODEPAGE="1252"%> ILC - 'o puosto


               
mprìmmese
  ricanuscenze / cuntatte

_________
  Veltroni e noi
  trasuta
  pezza e suricillo 1
  pezza e suricillo 2
  pezza e suricillo 3
  strangulaprievete
  vott' a chiovere
  ’ntrocchia
  Genealogia della vaiassa


mparulianno

Veltroni e noi
di Serse Turao

Giovedì mattina, 14 febbraio 2008, all'Istituto Linguistico Campano è giunta una telefonata dalla segreteria romana di Walter Veltroni. Si chiedeva a noi, come di solito fanno molte ditte e associazioni, un aiuto per ben scrivere una breve frase in napoletano.

Dalle parole al microfono del professor Messina, nostro presidente, si è capito che si trattava dello slogan della campagna elettorale in corso. Il candidato del Partito democratico alla presidenza del consiglio dei ministri ha deciso di viaggiare tutta Italia con lo slogan tradotto nei linguaggi regionali e poi stampato su magliette, volantini e manifesti.

Con il solito suo garbo Amedeo Messina si è complimentato per l'idea e ha soggiunto di augurarsi di un ripensamento complessivo sull'assenza di tutele giuridiche e finanziamenti pubblici a vantaggio di una lingua e di una cultura come quelle napoletane.

La frase, come adesso tutti sanno, è in italiano "si può fare" e il nostro presidente l'ha tradotta facilmente in un " se pò fà ", dettandola anche con lo spelling o compitazione che si voglia dire e precisando la necessità degli accenti gravi.

Grande è stata perciò la meraviglia quando abbiamo letto sui giornali di sabato 16 febbraio che lo slogan sarà stampato in 21 "dialetti". E qui lo staff dei "democratici" incorre in un enorme errore, perché il piemontese, il friulano, il sardo e altri "dialetti" sono per legge lingue a tutti gli effetti, checché ne voglia dire il programma veltroniano.

Napoli e la Campania tutta hanno invece i loro dialetti solo per insipienza dei politici e cocciutaggine degli accadèmmece r''a vrénna , alias nostrani "accademici della crusca". E non è finita qui, perché dai quotidiani apprendiamo pure che la frase apparirà dovunque come un " se po' ffà " di cui ci è ignota l'origine linguistica e non è certo quella ben tradotta dal nostro istituto.

Tanto gradiremmo si sapesse, vuoi a futura memoria, vuoi perché poi non si dica che l'errore l'ha commesso Amedeo Messina, colpevole soltanto, lui, di averci un po' creduto. Ma ora è forse un po' più chiaro che "nun se pò fà".