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Una nota su "suricillo e ppezza nfosa"

di Raffaele Bracale

Alla lettera l’antico detto mannaggia ’o suricillo e ppezza nfosa significa: maledetto topolino e straccio bagnato. Il motto viene pronunciato a mo’ di imprecazione da chi voglia evitare di pronunciarne un’altra che sia triviale.
Varie le interpretazioni della locuzione, in ispecie nei confronti del topolino reso oggetto di maledizione.
Esamino qui di seguito le varie interpretazioni e per ultima segnalo la mia.

1 – (Avv. Renato De Falco) L’illustre amico e scrittore di cose napoletane reputa che il suricillo altro non sia che il frustolo d’epitelio che si produceva sulle braccia e sulle gambe allorché le si lavavano, soffregandole non con una spugna, ma con uno straccetto bagnato. È vero. Da ragazzi usavamo dare a questi “prodotti” il nome di suricillo, ma il dotto De Falco, pur di far passare per buona la sua idea, è costretto a leggere la ‘e’ dell’adagio non come congiunzione, ma come aferesi di de e poi a leggere ’e pezza ’nfosa pronunciando in maniera scempia la ‘p’ di pezza, laddove il motto raccolto dalla viva voce della gente suona: mannaggia ’o suricillo e ppezza ’nfosa ed è chiara la geminazione iniziale della ‘p’ di pezza e l’uso di congiunzione della ‘e’. Per cui, a malgrado dell’amicizia e della stima che nutro per l’avvocato De Falco, non posso addivenire alla sua interpretazione.

2 – (Prof. Francesco D’Ascoli) L’anziano professore, nel suo per altro informato La filosofia popolare napoletana, sbriga la faccenda ravvisando nel suricillo i pezzetti di panno che si staccavano, assumendo la forma del musculus, dallo straccio per lavare a terra. Ma l’idea non è percorribile, stante la medesima lettura impropria della locuzione che ne fa il De Falco, leggendo anch’egli la ‘e’ come aferesi di de e non come congiunzione.

3 – (Dott. Sergio Zazzera) L’ottimo dottor Zazzera si lava le mani e propone un improbabile sorcio alle prese con un orcio d’olio dal quale sia saltato via uno stoppaccio. Non si comprende perché umido.
A questo punto reputo che potrebbe essere più veritiera l’interpretazione che mi fu data temporibus illis da mia nonna, quando asserì che la locuzione conglobava una imprecazione rivolta ad un sorcetto introdottosi in una casa ed un suggerimento dato agli abitanti della stessa. Quello cioè di introdurre sotto le fessure delle porte uno straccio bagnato in modo che al topo fossero precluse le vie di fuga e lo si potesse catturare. Volendo dire: È entrato il topino? Non c’è problema! Ce ne possiamo liberare, ma prima, affinché non ci sfugga, turiamo con uno straccio bagnato ogni fessura e procediamo alla cattura!
Ma poiché, fino a che non ci si sente soddisfatti, è buona norma continuare ad investigare, continuando nel gioco delle interpretazioni, mi pare di poter affermare che la nonna aveva dato una casta spiegazione a dei vocaboli (e perciò a tutta l’espressione) per non inquietare la fantasia di un adolescente. Infatti, alla luce di ulteriori indagini e del supporto di altre menti di appassionati studiosi di cose napoletane, mi pare si possa accogliere la tesi del professor Amedeo Messina, che vede nel suricillo — per il tramite di uno xurikilla tardo-latino usato in luogo del più classico mentula — il membro maschile...
A maggior suffragio della tesi da lui esposta aggiungo che il professor Carlo Iandolo, illustre scrittore di cose partenopee, in una sua dotta lettera mi fa notare come nell’antico napoletano le pezze più note erano — oltre a quelle che designavano il danaro — quelle che le donne portavano nel loro corredo, e che usavano per le loro ricorrenze ad ogni volger di luna. Ecco dunque che, messa da parte la casta spiegazione data dalla nonna, penso che si possa ritenere l’innocente imprecazione, con la quale si è soliti commentare piccolissimi inconvenienti ai quali non occorra dare faticose soluzioni, sia sgorgata sulle labbra di una donna trovatasi davanti alla improcrastinabile richiesta di favori, da parte del suo uomo (...pronto alla tenzone...) e gli abbia dovuto opporre che non era il tempo adatto, in quanto ’a pezza... era nfosa.