<%@LANGUAGE="JAVASCRIPT" CODEPAGE="1252"%> Istituto Linguistico Campano
presentazione
 
editoriale
 

forum con il sindaco iervolino
archivio editoriali
- 18/09/2006
- 03/02/2006
- 21/11/2005
- 01/02/2005
- 31/03/2004
- 10/12/2003
- 29/10/2003
- 26/06/2003
archivio probovirus
- 30 marzo 2007
- 07 gennaio 2004
- 15 dicembre 2003
- 24 settembre 2003
- 14 luglio 2003
- 30 giugno 2003

Editoriale del 31 marzo 2004


Nel campionato europeo delle lingue
l’italiano si piazza al settimo posto. Ventiquattresimo il napoletano.

di Amedeo Messina

L’Economist è il prestigioso settimanale inglese più citato dai politici nostrani. Non vi è un suo numero in cui non compaia un articolo che esprima dei giudizi o dia informazioni sulle vicende dell’Italia. E i più autorevoli interpreti delle cose di casa nostra, che sono poi gli stessi che queste cose le inventano e le gestiscono, autorizzati o no che siano, si sforzano nel gioco di tirare da sinistra o verso destra il senso delle sue parole, perché si sa che l’ermeneutica è uno sport nel quale il bel paese eccelle da Bolzano fino a Lampedusa.
Tanto più appare perciò strano che nessuno dei professionisti della politica si sia messo a interpretare i dati posti in evidenza nell’ultima edizione del celebre The Economist pocket Europe in figures che figura sempre come uno strumento assai prezioso per gli operatori economici e politici di tutto il mondo. Non a caso, e senza alcun complesso, esso proclama in copertina: «Fatti e cifre sui paesi che formano l’Europa di oggi. Se vi occorrono i più recenti dati sulle 48 nazioni che compongono l’Europa odierna, non c’è fonte più autorevole di noi».
Il libretto dall’inizio di quest’anno in vendita interviene opportunamente sui linguaggi che si parlano in Europa e, senza impelagarsi nel problema delle lingue e dei dialetti, buono solo per gli accademici linguisti, pone sullo stesso piano dell’indagine le lingue tutte insieme, dandone una propria graduatoria in base al numero dei loro locutori. Scopriamo così che l’italiano, di cui il nostro ottimistico governo riportava la notizia d’una lingua sempre più diffusa, è non soltanto collocato solo al settimo posto, dietro il turco e il polacco, e a stento avanti all’ucraìno, ma risulta minacciato dalla concorrenza interna dei suoi stessi linguaggi regionali.
Nessuno ha storto qui da noi la bocca. Non un battito di ciglia. E non dico per amor di patria, ma perché non è certo cosa seria. La classifica è un imbroglio, non saprei dire se per ignoranza o per trovare nelle lingue un nuovo campo di squilibrio favorevole alla politica europea dell’Inghilterra. Tagli o rialzi di parlanti riguardano gli idiomi, guarda un po’, paesi vittime o beneficiari dei britannici interessi e ciò sostiene la seconda ipotesi, ma questo non esclude una notevole insipienza. Prendete per esempio lo spagnolo, accreditato per un misero 28 milioni di parlanti pur avendo, com’è noto, più di 40 milioni di abitanti ed è inutile che vi mettiate a far di conto. Perché pur sommando castigliani, baschi, catalani e altro, ugualmente il totale è scombinato.
Né meglio se la cava quella sorta d’Italia preunitaria che la graduatoria ci propone. Gli italiani sono molto più dei 42 milioni che l’Economist conteggia come suoi parlanti. Rispetto all’ultimo censimento ne scompaiono ben 16 milioni. Per un paese che lamenta un numero eccessivo di pensioni francamente è troppo! Si è autorizzati a credere pertanto che lombardi, napoletani, siciliani e veneti bisogna aggiungerli alla cifra, dal momento che noi siamo tutti locutori di un bilinguismo (sia pure imperfetto) con una più o meno accentuata diglossia. Ma in tal caso si collocherebbe l’italiano addirittura al terzo posto, con 65 milioni di abitanti, ovvero 9 in più che rischiano di darci la nomea di avere in nero anche i parlanti.
I calcoli risultano sbagliati, anche perché il lombardo è sovrastimato e al venetico la cifra fa difetto. A non quadrare non sono però soltanto i conti. Stranamente mancano all’appello, o per meglio dire non risultano in classifica, le lingue sarde e quella friulana, che da noi per legge sono tutelate, e il piemontese, il marchigiano, il romanesco, il ligure, il pugliese e tutte le altre che pur son vive e ben parlate e scritte, nonostante la politica linguistica oppressiva dei governi che si sono succeduti dal 1861 ad oggi.
Quello che però più ci colpisce è l’assoluta novità di un napoletano/calabrese di cui in Italia nessuno si è mai accorto. Un mostro linguistico bicefalo inventato da chi sa qual somaro inglese, ignaro che in Calabria esistone tre forme differenti di linguaggi regionali e tutte ben diverse dal partenopeo. Ciò che importa è il dato per cui si accredita, ancora una volta, il napoletano come lingua tra le 36 più parlate dei popoli europei e con non meno di 5 milioni di locutori, più di quanti ne annoverano il bulgaro, lo shqiptar, il finlandese o il lituano, nonostante che nessuno e niente lo tuteli e non un euro si spenda per il suo insegnamento, a differenza del lombardo e dello stesso siciliano.

Classifica delle lingue europee
(pubblicata su “The Economist pocket Europe in figures”)
La cifra tra parentesi dopo la lingua indica in milioni il numero dei suoi parlanti in Europa.

01. Russo (170);
02. Tedesco (98);
03. Francese (62,7);
04. Inglese (61,9);
05. Turco (59);
06. Polacco (44);
07. Italiano (42,3);
08. Ucraìno (41,2);
09. Spagnolo (28,3);
10. Romeno (26);
...;
20. Lombardo (9,1);
24. Napoletano/calabrese (7);
29. Siciliano (4,6);
36. Veneto (2,2).