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PROPOSTA DI LEGGE DEL 1989
d’iniziativa del deputato Angelo Manna
NORME PER L’INTRODUZIONE NELLA
SCUOLA DELL’OBBLIGO E NEL BIENNIO DELLE SCUOLE SECONDARIE
DI II GRADO DELLO STUDIO DELLE LINGUE E TRADIZIONI REGIONALI E DEI
DIALETTI
ART. 1
Le norme della presente legge, regolano l’introduzione
delle lingue e tradizioni regionali e dei dialetti nella scuola
dell’obbligo e nel biennio delle scuole secondarie di II grado
come materia di studio e di esame, inseribile nei programmi relativi
all’insegnamento delle materie letterarie storiche.
ART. 2
L’insegnamento delle lingue e tradizioni regionali
si inserisce, nel contesto dello studio dei processi evolutivi e
culturali delle regioni di appartenenza tramite l’analisi
linguistica delle fonti dialettali.
L’inserimento di tale disciplina nei programmi ministeriali
di studio, previo il parere del Consiglio Nazionale della Pubblica
Istruzione, è compiuto gradualmente, secondo le norme di
attuazione, entro e non oltre tre anni dall’entrata in vigore
della presente legge.
I provveditorati agli studi emaneranno le norme esplicative delle
circolari ministeriali per l’attuazione delle disposizioni
contenute nella presente legge in ordine all’inserimento di
detta disciplina nei progetti di programmi didattici e sperimentali
ed in ordine alla disciplina attuativa delle graduatorie di servizio
dei docenti abilitati nelle materie letterarie e storiche.
ART. 3
Sono abilitati all’insegnamento delle lingue e tradizioni
regionali i docenti attualmente di ruolo nelle materie letterarie
e storiche. I suddetti docenti dovranno frequentare i corsi di aggiornamento
organizzati su base provinciale relativi alla materia d' insegnamento.
Non sono tenuti alla frequenza dei corsi di aggiornamento i docenti
laureati in materie letterarie e storiche nel cui piano di studio
universitario risulti sostenuto l'esame di "Storia delle tradizioni
folcloristiche" e "Antropologia culturale" o altre
materie affini o equipollenti.
ART. 4
I corsi di aggiornamento di cui all’ultimo comma
del precedente articolo sono istituiti entro i dodici mesi successivi
ai tre anni entro cui avviene la modifica dei programmi ministeriali
in base a quanto disposto dall’art. 2, secondo comma della
presente legge.
I provveditorati agli studi emaneranno le norme regolatrici, sulla
base delle disposizioni ministeriali, delle graduatorie dei docenti
stilate a seguito della partecipazione ai corsi di aggiornamento.
I corsi di aggiornamento per le materie inerenti le lingue e tradizioni
regionali hanno la durata di mesi due su base biennale.
ART. 5
L’insegnamento delle lingue e tradizioni regionali
viene inserito nei programmi della scuola dell’obbligo per
un minimo di una ed un massimo di due ore settimanali.
L’insegnamento delle lingue e tradizioni regionali viene inserito
nei programmi del biennio della scuola secondaria di secondo grado
per un massimo di due ore settimanali.
ART. 6
L’insegnamento delle lingue e tradizioni regionali
deve tendere a fornire agli studenti una sintetica conoscenza scientifica
dei dialetti regionali dei loro rapporti funzionali con la lingua,
la grammatica e la sintassi italiane e inserirsi compiutamente nell’illustrazione
delle tradizioni culturali e folcloristiche della regione di appartenenza.
ART. 7
Il Ministero della Pubblica Istruzione emanerà le
norme integrative dei programmi di esame, per i concorsi a cattedre
nelle materie letterarie e storiche, comprensivi dell’insegnamento
delle lingue e tradizioni regionali.
ART. 8
Le scuole secondarie di primo e secondo grado potranno
programmare un insegnamento sperimentale delle lingue e tradizioni
regionali nel periodo relativo all’integrazione dei programmi
ministeriali di cui all'art. 2, secondo comma della presente legge,
previa approvazione dello stesso ad opera del competente Provveditorato
agli studi.
Gli istituti universitari potranno istituire nuove cattedre dl "Storia
e lingue delle tradizioni popolari" o di "Antropologia
culturale" secondo i regolamenti universitari e inserire i
rispettivi insegnamenti nei piani di studio obbligatori approvati
dai Consigli di facoltà.
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ONOREVOLI COLLEGHI!
- È noto che la scuola nel nostro paese soffre di numerosi
problemi, legati anche alle strutture organizzative del Ministero
della Pubblica istruzione e alla natura intrinseca del lavoro didattico.
Una fra le tante accuse che oggi si muove alla scuola è quella
di essere poco collegata alle realtà della vita, al mondo
del lavoro, ai processi culturali in genere.
Il disegno dl legge che proponiamo si inserisce in questa "strategia
dell'attenzione" sempre presente nella società nel confronti
del mondo della scuola. Secondo i proponenti, infatti, l’introduzione
delle lingue e delle tradizioni regionali e dei dialetti nei normali
programmi di studio della scuola dell’obbligo può costituire
uno dei tanti modi per collegare maggiormente la scuola al mondo
reale.
È noto che negli anni passati si è molto discusso
sulle trasformazioni culturali in atto nella società italiana.
Molti sociologi ed "osservatori" dei fenomeni evolutivi
del nostro paese hanno sottolineato come le tradizioni culturali
delle regioni italiane - fra cui, massimamente, il dialetto e le
lingue locali - abbiano progressivamente perso il loro peso e il
loro specifico significato. Prima della sua tragica morte, lo scrittore
Pier Paolo Pasolini aveva suscitato molte polemiche perché
scese in campo a difesa delle "lingue locali", contro
l'invadenza di un "italiano" medio, introdotto nella parlata
comune soprattutto dalla potenza dei mass media.
In realtà, il problema tuttora si pone in termini squisitamente
culturali. Ci si chiede: è giusto che i nostri giovani -
durante la frequenza scolastica - imparino soltanto una lingua italiana
dedotta dai testi, con una grammatica ed una sintassi che, sovente,
sono molto lontani dalla cultura acquisita da questi giovani, per
quanto comuni alle informazioni che essi ricevono dai mass media?
Il presente disegno di legge si propone, dunque, l’introduzione
dello studio delle lingue e dei dialetti locali soprattutto nella
scuola dell’obbligo, perché è questa che forma
le prime vere cognizioni linguistiche evolute dei nostri studenti,
e poi nel biennio degli istituti superiori di ogni ordine e grado,
dove gli studenti si confrontano con un livello di insegnamento
superiore in vista degli ultimi anni di studio.
Evidentemente, l’insegnamento di questa "nuova"
disciplina deve inserirsi nel contesto storico delle regioni di
appartenenza (art. 2, primo comma) se vuole realmente contribuire
alla formazione culturale degli studenti.
Per dare modo al Ministero della Pubblica Istruzione di integrare
razionalmente i programmi di studio delle scuole medie e superiori
in ottemperanza alle norme della presente legge, è previsto
un periodo di latenza delle disposizioni in oggetto di tre anni
(art. 2, secondo comma).
I proponenti non si nascondono le difficoltà che potranno
intervenire in ordine al reclutamento dei docenti per l'insegnamento
dl tale disciplina. Per questo, il presente progetto di legge prevede
un doppio canale di reclutamento. Da un lato, infatti, possono insegnare
la disciplina in oggetto i docenti di ruolo in materie letterarie
e storiche dopo la frequenza di un corso di aggiornamento obbligatorio
da svolgersi entro i dodici mesi successivi all’integrazione
degli attuali programmi ministeriali (art. 3, primo comma; art.
4, primo comma). Dall’altro, saranno comunque considerati
abilitati all’insegnamento i docenti che abbiano sostenuto,
nel loro corso di laurea, gli esami relativi agli insegnamenti di
"Storia delle tradizioni popolari e folcloristiche" o
"Antropologia culturale" o materie affini e equipollenti;
per costoro sarà soltanto utile l'autoaggiornamento individuale
(art. 3, secondo comma).
È da considerare necessario che gli Istituti universitari,
a far tempo dall’entrata in vigore della presente legge e
nel periodo consentito dalla stessa per l’integrazione dei
programmi ministeriali di studio, inseriscano, nei programmi di
laurea obbligatori per l’accesso all’insegnamento delle
materie letterarie e storiche, i corsi di "Storia delle tradizioni
popolari e folcloristiche" e di "Antropologia culturale",
secondo quanto previsto dai regolamenti universitari di ciascuna
facoltà (art. 8 cpv).
Norme più dettagliate dovranno essere emanate dal Ministero
della Pubblica Istruzione in ordine alla quantificazione delle ore
settimanali da destinare all’insegnamento di tale disciplina,
che non potrà comunque essere impartita per una massimo superiore
alle due ore settimanali sia per la scuola dell’obbligo che
per il biennio di istruzione superiore (art. 5).
Il fine dell’inserimento di tale disciplina nei programmi
di studio ministeriali è principalmente diretto "a fornire
agli studenti una sintetica conoscenza scientifica dei dialetti
regionali e dei loro rapporti funzionali con la lingua" italiana,
tramite lo studio della sintassi e della grammatica, in modo da
rendere chiare le elaborazioni linguistiche locali, formatesi attraverso
l'evoluzione delle comunità sociali nel proprio contesto
geografico e culturale (art. 6).
Sarà altresì necessario che il Ministero della Pubblica
istruzione inserisca tale disciplina nel programmi di esame a cattedra
dei prossimi bienni per le discipline relative all’insegnamento
delle materie letterarie e storiche (art. 7).
I proponenti ritengono che le norme della presente legge possano
essere inserite nel contesto delle ipotesi di riforma dei programmi
di studio dell’istruzione secondaria superiore in corso di
elaborazione da parte della Commissione Brocca, con specifico riguardo
al biennio comune a tutti gli indirizzi.
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